martedì 31 luglio 2012

Spending: la Banca risponde, il SIBC osserva che...


Pubblichiamo integralmente la nota con la quale il Segretario Generale della Banca d’Italia risponde ai volantini diffusi sul tema dell’applicazione del decreto sulla c.d. “spending review”:

Sono state diffuse comunicazioni sindacali relative all’emendamento approvato dalla V Commissione Bilancio del Senato sull’applicazione di taluni principi della spending review alla Banca d’Italia.
 Si è trattato di una iniziativa parlamentare a cui questa Amministrazione era del tutto estranea.
La Banca, utilizzando i canali istituzionali, ha anzi subito espresso la propria contrarietà, chiedendo il rispetto dell’autonomia e della indipendenza finanziaria dell’Istituto; tale posizione è stata considerata in Senato, dove la norma è stata modificata.
Abbiamo avviato da tempo una politica volta ad aumentare l'efficienza nell’uso delle risorse e a risparmiare mezzi finanziari; i risultati della gestione sono pubblici e dettagliatamente esposti nel bilancio della Banca.
La ricerca dell’efficienza e del contenimento dei costi proseguirà, nel rispetto dell’ordinamento dell’Istituto, che prevede e tutela il confronto con i sindacati nelle materie oggetto di contrattazione.
Una in particolare delle citate comunicazioni contiene alcuni passaggi denigratori nei confronti del Direttorio. Riservata ogni eventuale iniziativa a questo riguardo, formulo l’auspicio che la dialettica sindacale possa beneficiare di un clima disteso e costruttivo, anche con l’utilizzo di un linguaggio appropriato.”

In proposito, il SIBC prende atto con soddisfazione che l’Amministrazione abbia formalmente dichiarato la propria estraneità rispetto all’iniziativa parlamentare e – soprattutto – che abbia espresso attraverso “i canali istituzionali” la propria contrarietà, affinché venisse rispettato il principio “dell’autonomia e della indipendenza finanziaria dell’Istituto” (perché solo "finanziaria"? ndr).
Va peraltro osservato – in relazione alla asserita “modifica” in Senato delle norme riferite alla Banca d’Italia –  che le notizie sul testo approvato in Aula, sventuratamente, non evidenziano alcuna modifica migliorativa rispetto all’emendamento da noi dettagliatamente illustrato nella newsletter sottostante, di lunedì 30 luglio.
Inoltre, proprio perché ben consapevoli che il singolare paragrafo conclusivo del Segretario Generale non si riferisce alla comunicazione del SIBC, ci permettiamo di rammentare al Vertice della Banca che un “clima disteso e costruttivo” passa anche, necessariamente, attraverso il pieno riconoscimento del diritto di critica, tanto più quando essa viene rivolta al “soggetto forte” del confronto negoziale. Toni minacciosi come quelli utilizzati sembrano contraddire gli obiettivi dichiarati nella stessa frase, e appartenere a culture estranee a quella che storicamente ha caratterizzato e fatto grande la nostra Istituzione.

Roma, 1 agosto 2012
LA SEGRETERIA NAZIONALE

domenica 29 luglio 2012

I risparmi sulla nostra pelle


Con il consueto "colpo di mano" notturno in Commissione al Senato, il decreto sulla spending review è stato modificato con un emendamento che parifica la Banca d'Italia alle pubbliche amministrazioni su alcune specifiche previsioni. In particolare :

1 - verrebbe posto un limite del 50% delle spese sostenute nel 2011 in materia di acquisto, noleggio, manutenzione ed esercizio di autovetture, nonché per l'acquisto di "buoni taxi";
2 - viene introdotto il divieto di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti, già dipendenti e collocati in quiescenza, che abbiano svolto, nel corso dell’ultimo anno di servizio, funzioni e attività corrispondenti a quelle oggetto dello stesso incarico di studio e di consulenza;
3 - il valore dei buoni pasto attribuiti al personale non potrà superare il valore di 7,00 euro; eventuali condizioni più favorevoli verrebbero a cessare dal mese di ottobre 2012;
4 - le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi;
5 - sarebbero ridotti i canoni di locazione, e sospeso l'aggiornamento Istat dei canoni medesimi, relativi ai contratti di locazione passiva (per la Banca) di immobili, anche a finalità istituzionali.

La valutazione del Sibc su quanto sta avvenendo è profondamente negativa, sia per ragioni di merito che di principio.

Sul merito delle questioni, è evidente che alcune delle misure in discorso sono palesemente funzionali a ridurre - sia pure in modo surrettizio - il costo del personale. Ancora una volta. In tale direzione si muovono la drastica riduzione dei buoni pasto e il divieto di monetizzazione di ferie e permessi non goduti dai colleghi, che non sempre sono messi in condizione di fruirne a causa della crescente incapacità di gestione degli organici e organizzazione del lavoro.

Una logica di risparmio sulla nostra pelle che contestiamo in assoluto, e che diventa anche un insulto all'intelligenza e alla dignità del nostro lavoro. È infatti improponibile, e profondamente offensiva, qualsivoglia parificazione tra il lavoro che svolgiamo, che permette annualmente alla Banca di conseguire utili importanti, e quello di carrozzoni statali o locali inefficienti e "causa prima" del disastro economico del Paese.

Va inoltre detto che - a titolo esemplificativo - quella dei buoni pasto è materia contrattuale, in Banca d’Italia come nelle altre Authorities interessate, e pertanto un intervento in tal senso costituirebbe una violazione dell'autonomia contrattualedelle parti (va da che qualsivoglia riduzione del loro valore inficerebbe il risultato delle consultazioni svoltesi in sede locale nei mesi scorsi).

Sul piano della logica istituzionale, stupisce il silenzio assordante sulla vicenda da parte dei soggetti che - ciascuno nel diverso ruolo esercitato - dovrebbero difendere l'autonomia e l'indipendenza della Banca d'Italia.

Il Sibc rileva e condanna fermamente la grave riproposizione di un approccio mirante ad assimilare, in tutto e per tutto, il trattamento economico e normativo del personale della Banca d'Italia a quello della Pubblica amministrazione.

Un disegno, spiace dirlo, che prosegue da diversi anni,  senza incontrare la necessaria resistenza e contrasto da parte dei diversi soggetti interessati, a partire naturalmente dal silenziosissimo Vertice dell'Istituto.

Dal Vertice dell'Istituto ci attendiamo invece una inequivoca difesa del lavoro di tutti noi, che coincide con la difesa delle ragioni di esistenza della Banca d'Italia, e non il fiancheggiamento di chi punta alla “ministerializzazione” e alla “normalizzazione” della nostra Istituzione.
Il Sibc, da tempi non sospetti, rammenta che ci sono ben altri risparmi che è possibile conseguire. 

Ma questi risparmi, come affermato anche dal Segretario Generale alla presenza del Vice Direttore dott. Rossi, vanno destinati a finanziare la riforma delle carriere e il reinquadramento del personale. Perché ciò avvenga, la precondizione necessaria è il recupero di una piena autonomia e indipendenza dell'Istituto. Per questo, intendiamo essere sempre di più argine alla deriva cui qualcuno sta spingendo la Banca d'Italia.

Post scriptum. Sarebbe molto apprezzato se il Direttore Generale desse conferma o smentita di quanto scritto sul numero di domenica da Libero Quotidiano, circa una tempestosa telefonata che il medesimo Direttore Generale avrebbe ricevuto dal Presidente del consiglio Monti. Secondo il quotidiano, il motivo del contendere sarebbe stato addirittura il contenuto di un articolo pubblicato su altro giornale da un ex collega, in materia di partecipazione al capitale della Banca d'Italia. Non crediamo che il contenuto dell'articolo di Libero corrisponda a verità, ma non ci dispiacerebbe una parola in tal senso del diretto interessato. Sempre in materia di indipendenza, s'intende.

LA SEGRETERIA NAZIONALE DEL SIBC

domenica 8 luglio 2012

18 politico e il modello italiano

Talvolta assistiamo a grandi battaglie di principio, combattute all’arma bianca sotto la luce dei riflettori. Appena però questi ultimi si spengono, le battaglie si affievoliscono, i compromessi si fanno regola, il rosso delle bandiere sbiadisce in un rosa innocuo, le finzioni linguistiche diventano indispensabili per nascondere i raggiri consumati alle spalle dei lavoratori.
Facciamo il caso della riforma del mercato del lavoro.
Come sempre accade, l’incipit della discussione è stato affidato al “poliziotto cattivo”. Con la faccia truce, intima: l’articolo 18, quello che tutela i lavoratori da licenziamenti senza giusta causa, va tolto, perché “è un freno agli investimenti esteri e all’occupazione” (sic!).
Vagli a spiegare che pure l’emiro del Qatar, in visita in Italia, ha recentemente sottolineato che il nostro problema è la corruzione pubblica diffusa, e non lo Statuto dei lavoratori. Vagli pure a spiegare che persino in Italia, dove la logica fa meno presa di un dibattito sulle tendenze filosofiche dell’antico Egitto, dire che l’occupazione aumenta facilitando i licenziamenti rischia di sembrare una battuta di cattivo gusto.
La minaccia del poliziotto cattivo è molto chiara: anche se il giudice dovesse accertare che il licenziamento era privo di giusta causa, il lavoratore non avrebbe più diritto al reintegro (come invece accadeva, grazie all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori). In pratica, una porta spalancata ai licenziamenti per antipatia, o peggio.
La reazione a queste parole era stata netta e sacrosanta: “l’articolo 18 non si tocca”, “giù le mani dallo Statuto dei Lavoratori”, “se cambiano l’articolo 18 fermiamo il Paese”.
Ma forse chi diceva queste parole non ci credeva fino in fondo, dal momento che poi, quando si è presentato il “poliziotto buono”, si è mostrata inopinata disponibilità ad accettare una porcata denominata “male minore”.
Il poliziotto buono presentava questa proposta: applichiamo in Italia il “modello tedesco”, che prevede la possibilità di reintegro (dipende dalla discrezionalità del giudice) ma consente comunque i licenziamenti per “motivi economici”.

Fermiamoci un attimo. Consentire il licenziamento per motivi economici è una grande idea, nel momento in cui gran parte delle aziende italiane è in evidenti difficoltà economiche: significa mettere in un solo colpo milioni di lavoratori “sotto schiaffo” del datore di lavoro.
Ma non basta. Prendiamo un imprenditore che evade le tasse, accumulando profitti in nero. Molto probabilmente, il bilancio della sua azienda sarà addirittura in perdita (fittizia). Grazie a quel bilancio falso - fattispecie che, en passant, è pure depenalizzata di fatto - l’imprenditore disonesto avrà anche il privilegio di poter licenziare qualche lavoratore poco gradito, adducendo “motivi economici”. Non è meraviglioso?

Ma quel che è peggio è l’ipocrisia delle parole.
Infatti, non basta applicare un pezzettino del “modello tedesco” per far diventare l’Italia come la Germania. Anzi: applicare un pezzo di un modello pensato per un mercato molto diverso dal nostro rischia di creare gravi penalizzazioni per i lavoratori. Il modello tedesco, infatti, prevede qualche non trascurabile differenza dal “modello italiano”.
Ad esempio, la busta paga media di un lavoratore cinquantenne non specializzato in Germania è pari a 2.680 euro. In Italia, ci attestiamo per lo stesso lavoro a 1.450 euro. Praticamente, la metà.
Ad esempio, in numerose grandi aziende tedesche, i sindacati partecipano al consiglio di sorveglianza, contribuendo così a ogni singola scelta aziendale: dalle grandi strategie, alla destinazione degli utili, fino alla politica di assunzioni.

Ma quale “modello tedesco” abbiamo importato? Pochi giorni fa, un ministro “molto tecnico” ha chiesto la sottrazione di una settimana di ferie per tutti, in modo da alzare il PIL nazionale dell’1%. Un genio. Peccato che la Germania (visto che si parla tanto di “modello tedesco”) sia il penultimo paese europeo per giorni lavorati pro capite ogni anno. Invece, sempre in termini di giorni lavorativi annui per lavoratore, il Paese dove si lavora di più è - indovinate un po’? - la Grecia!
Se poi si guarda anche a certi provvedimenti, al taglio delle buste paga, delle pensioni, della scuola, della sanità, degli statali, viene il dubbio che qualcuno abbia scambiato le etichette: dicendo di importare il modello tedesco, ha importato quello greco.
Poco male, si dirà: se le parti sociali guardano il merito dei provvedimenti, come possono non accorgersi dello scambio?
Ma se le battaglie sindacali si combattono per motivi ideologici, perché il copione prevede questa finzione quando i riflettori sono accesi, finiscono presto nel cestino del dimenticatoio. Basta un europeo di calcio, qualche allarme sui destini dell’Euro, gli ombrelloni che cominciano ad aprirsi e nessuno si accorge più di nulla:  tutti si affrettano a piegare il capino, fingendo di aver “quasi vinto” la battaglia, rassegnati al “meno peggio”. Le belle bandiere vengono riavvolte con cura, pronte per la prossima sceneggiata di “lotta dura e intransigente”.
Questo non è il modello tedesco, e nemmeno quello greco.
E’ il modello italiano. Non è meraviglioso?