Venti anni fa, il 23 maggio 1992, saltava in aria un intero tratto di autostrada. Congiungeva l’aeroporto di Punta Raisi a Palermo. Su quel tratto di autostrada, in quel momento, transitavano le auto con a bordo il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, gli agenti Vito Schifani, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo.
Morti.
Venti anni fa, il 19 luglio 1992, esplodeva un tratto di strada nel cuore di Palermo, a via D’Amelio, dove abitava la madre di un altro magistrato, Paolo Borsellino. Muore Paolo Borsellino, e con lui gli agenti Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e a cadere in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Cosina e Claudio Traina.
Morti.
Il Sindacato Indipendente vuole onorare la memoria di questi nostri valorosi Concittadini, questi servitori dello Stato, cioè di tutti noi. Il servizio dello Stato, della comunità in cui ciascuno di noi vive, rappresenta un tratto unificante di personalità diverse, che danno corpo e significato a ciò che chiamiamo Stato: Giorgio Ambrosoli, Libero Grassi, don Puglisi. Tratto che ha contraddistinto anche importanti personalità all'interno della Banca d'Italia, basti pensare a Paolo Baffi e Mario Sarcinelli, o a quanti si opposero in tempi più recenti ai "furbetti del quartierino".
Venti anni dopo, attendiamo ancora che sia fatta piena luce sulle responsabilità di quelle stragi. E’ importante conoscere la verità, perché solo la verità può liberare questo Paese dai lacci e dai ricatti che lo immobilizzano da troppi decenni.
Scopriremo forse un giorno, prove alla mano, che Paolo Borsellino venne ucciso perché impedì una indecente trattativa tra lo Stato e la mafia.
Questo era solo il frutto di qualcosa di più profondo. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino rappresentavano un insopportabile ostacolo morale e culturale rispetto alla diffusione di una cultura mafiosa. Testimoniavano quotidianamente il loro "credo civile". Spiegava Borsellino, già nel 1989: «Vi è stata una delega totale e inammissibile nei confronti della magistratura e delle forze dell'ordine a occuparsi esse solo del problema della mafia [...]. E c'è un equivoco di fondo: si dice che quel politico era vicino alla mafia, però la magistratura, non potendone accertare le prove, non l'ha condannato, ergo quell'uomo è onesto... E no! Questo discorso non va, perché la magistratura può fare solo un accertamento giudiziale. Può dire, bè ci sono sospetti, sospetti anche gravi, ma io non ho le prove e la certezza giuridica per dire che quest'uomo è un mafioso. Però i consigli comunali, regionali e provinciali avrebbero dovuto trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze sospette tra politici e mafiosi, considerando il politico tal dei tali inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Ci si è nascosti dietro lo schema della sentenza, cioè quest'uomo non è mai stato condannato, quindi non è un mafioso, quindi è un uomo onesto!».
Parole di chi crede nel significato profondo del controllo di legalità, eppure ne riconosce i limiti. Parole di chi non poteva convivere con una cultura che sempre più attanaglia il nostro Paese.
Morti.
Venti anni fa, il 19 luglio 1992, esplodeva un tratto di strada nel cuore di Palermo, a via D’Amelio, dove abitava la madre di un altro magistrato, Paolo Borsellino. Muore Paolo Borsellino, e con lui gli agenti Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e a cadere in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Cosina e Claudio Traina.
Morti.
Il Sindacato Indipendente vuole onorare la memoria di questi nostri valorosi Concittadini, questi servitori dello Stato, cioè di tutti noi. Il servizio dello Stato, della comunità in cui ciascuno di noi vive, rappresenta un tratto unificante di personalità diverse, che danno corpo e significato a ciò che chiamiamo Stato: Giorgio Ambrosoli, Libero Grassi, don Puglisi. Tratto che ha contraddistinto anche importanti personalità all'interno della Banca d'Italia, basti pensare a Paolo Baffi e Mario Sarcinelli, o a quanti si opposero in tempi più recenti ai "furbetti del quartierino".
Venti anni dopo, attendiamo ancora che sia fatta piena luce sulle responsabilità di quelle stragi. E’ importante conoscere la verità, perché solo la verità può liberare questo Paese dai lacci e dai ricatti che lo immobilizzano da troppi decenni.
Scopriremo forse un giorno, prove alla mano, che Paolo Borsellino venne ucciso perché impedì una indecente trattativa tra lo Stato e la mafia.
Questo era solo il frutto di qualcosa di più profondo. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino rappresentavano un insopportabile ostacolo morale e culturale rispetto alla diffusione di una cultura mafiosa. Testimoniavano quotidianamente il loro "credo civile". Spiegava Borsellino, già nel 1989: «Vi è stata una delega totale e inammissibile nei confronti della magistratura e delle forze dell'ordine a occuparsi esse solo del problema della mafia [...]. E c'è un equivoco di fondo: si dice che quel politico era vicino alla mafia, però la magistratura, non potendone accertare le prove, non l'ha condannato, ergo quell'uomo è onesto... E no! Questo discorso non va, perché la magistratura può fare solo un accertamento giudiziale. Può dire, bè ci sono sospetti, sospetti anche gravi, ma io non ho le prove e la certezza giuridica per dire che quest'uomo è un mafioso. Però i consigli comunali, regionali e provinciali avrebbero dovuto trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze sospette tra politici e mafiosi, considerando il politico tal dei tali inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Ci si è nascosti dietro lo schema della sentenza, cioè quest'uomo non è mai stato condannato, quindi non è un mafioso, quindi è un uomo onesto!».
Parole di chi crede nel significato profondo del controllo di legalità, eppure ne riconosce i limiti. Parole di chi non poteva convivere con una cultura che sempre più attanaglia il nostro Paese.
Venti anni dopo.
Se ascoltiamo bene, Paolo e Giovanni ci parlano ancora oggi.
Se ascoltiamo bene, Paolo e Giovanni ci parlano ancora oggi.
Ciao, sono un "SICILIANO" che da 17 anni vive fuori dalla Sicilia ma che 20 anni fa viveva in quei luoghi dove si poteva udire il sordo defragrare delle bombe che hanno profondamente colpito la giustizia civile e hanno allo stesso tempo destato dal torpore quei Siciliani che pensavano che la mafia non esistesse.
RispondiEliminaSe chiudo gli occhi rivivo come fosse ieri quei terribili momenti e il senso di vuoto ed impotenza di un cittadino ferito a morte.
Cercherò di raccontare ai miei figli la storia e le parole di questi grandi Magistrati che hanno saputo cambiare tante cose anche con il silenzio della loro morte e dei quali, lo ammetto, anche io prima della loro scomparsa ignoravo l'impegno quotidinao nella lotta alla mafia, pur incrociando quotidianamente per le strade di Palermo loro e ed i loro "Angeli Custodi".