martedì 27 novembre 2012

Produttività: la solitudine dei lavoratori




Mentre i cosiddetti partiti politici sono occupati a discutere di primarie, secondarie, organigrammi e rottamazioni, moniti e leggi elettorali, i cosiddetti tecnici portano avanti indisturbati un programma di progressivo smantellamento delle tutele dei lavoratori italiani. 
Prima la riforma Fornero, con la quale il Governo dei tecnici ha fatto cassa instaurando in Italia uno dei più restrittivi sistemi previdenziali dell’Europa;  poi la ferita gravissima, inferta all’articolo 18 e alla possibilità per il lavoratore - licenziato senza giusta causa - di essere reintegrato sul proprio posto di lavoro.

Ora, l’accordo cosiddetto sulla “produttività”, che parti sociali e Governo hanno firmato mercoledì scorso (con la più che condivisibile opposizione della Cgil nazionale) rimette indietro di 150 anni le lancette della storia. 
Ancora una volta, si spaccia per “produttività” quella che nei fatti è solo “compressione dei diritti dei lavoratori”, il cui silenzio si immagina di “comprare” con la promessa illusoria di una minore tassazione per i premi di produttività (valida solo per chi ha redditi inferiori a 30 o 40 mila euro). E guai per quei lavoratori che non vivono in ambienti sindacalmente ben presidiati come il nostro, tutelato anche da normative internazionali non derogabili!

Alcuni esempi: “Le parti ritengono necessario che la contrattazione collettiva si eserciti, con piena autonomia, su materie oggi regolate in maniera prevalente o esclusiva dalla legge”. La legge - come noto - serve a difendere i deboli da un’altra legge: quella del più forte. Invece, i sindacati firmatari di cotanto accordo scelgono di vedersela con i padroni, liberamente, senza che la legge intralci il libero dispiegarsi dei rapporti di forza su materie come l’orario di lavoro e il cosiddetto demansionamento, che oggi il codice civile, cioè le leggi, semplicemente vieta.

Ancora: su questioni delicate come gli aumenti salariali, gli orari, le mansioni e la videosorveglianza, si sposta il baricentro dal contratto collettivo nazionale alla contrattazione aziendale. Indebolendo, necessariamente, quanto già conquistato fino a oggi collettivamente e spogliando di ogni garanzia tutti coloro che, tra l'altro, non riusciranno mai a fare una contrattazione aziendale.

Terzo e ultimo step: secondo le regole contrattuali la tutela del potere di acquisto delle retribuzioni avveniva «sulla base dell'Ipca (l'indice dei prezzi al consumo), depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati». Ad essi si aggiungeva «il recupero degli eventuali scostamenti» tra «l'inflazione prevista e quella reale». Un indice già molto criticabile (e criticato) perché non tiene conto dell’inflazione derivante dal caro-petrolio - e quanto avvenuto in questi anni insegna...
Il nuovo accordo riesce a peggiorare anche questo, rendendo meno automatico il meccanismo. Si dice infatti che il contratto nazionale «avendo l'obiettivo mirato di tutelare il potere d'acquisto delle retribuzioni, deve rendere la dinamica degli effetti economici, definita entro i limiti fissati dai principi vigenti, coerente con le tendenze generali dell'economia, del mercato del lavoro, del raffronto competitivo internazionale e gli andamenti specifici del settore».
In pratica: aumenti pari all'Ipca non sono più garantiti (e neanche i recuperi) se le condizioni economiche generali e/o settoriali non lo consentono.

Di fatto, aumenta sempre più quella che Giorgio Airaudo chiama «la solitudine dei lavoratori». Abbandonati dalla politica, spogliati di diritti e persino della rappresentanza collettiva liberamente scelta, ciascuno per sé, spinto a individuare la controparte non più nel “padrone” ma nel suo compagno di lavoro con il quale competere - e vincerà chi sarà disposto a consegnarsi integralmente a chi rivendica la proprietà del suo corpo e della sua mente. 

Una visione neofeudale della dignità del lavoro, alla quale il SIBC esprime la più totale estraneità, lontananza, opposizione. Senza se e senza ma!

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